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In un caldissimo e afosissimo tardo pomeriggio di fine luglio, alla fine di un piccolo tour di ricerche musicologiche su Giuseppe Martucci a Bologna dove, dopo aver visitato il bellissimo Conservatorio Martini, di sera, nella suggestiva Basilica di Sant’Antonio, ho assistito al meraviglioso concerto del Maestro Letizia Romiti, ultimo appuntamento della rassegna Concerti D’Organo e, il giorno dopo, al Museo del Violino di Cremona, per vedere i gioielli costruiti dai grandi liutai Amati, Guarneri e Stradivari. Il 28 luglio, mi sono spostato a Milano, per assistere ad un concerto che mi intrigava molto. Nella presentazione si parlava di concerto suonato, cantato e recitato dal titolo Blues Notes. L’ensemble è formato da Marco Guerzoni (voce e tromba), Enzo Carbonello (chitarra), Cleo Tucci (sax alto), Andrea Ponzinibbi (basso), Roberto Botturi (batteria) e Giancarlo Iacono (tastiere). Alla parte suonata e cantata dal leader della band che è un bravissimo showman, visto anche le sue esperienze nei Musical, si alterna anche, come dicevo prima, una parte narrata, con testi letti da Nadia Del Frate e una cantata da Giulia Iacono. Sono passati pochissimi minuti dopo le 21, orario prestabilito per l’inizio del concerto e, parte una chitarra slide molto promettente, suonata con un coltello (cit. W. C. Handy) che ripropone proprio quello che succedeva nei primissimi anni del ‘900 in prossimità delle stazioni metropolitane degli States. Purtroppo, man mano che la band continua in questo “raccontar suonando”, le cose iniziano a rivelarsi non sullo stesso livello delle premesse. Suonare il Blues, senza che hai i BLUES dentro è, a dir poco, improbabile e, se provi a farlo, risulti insignificante. Certo l’idea del format è accattivante, studiata in modo molto intelligente, questo fa onore a chi ha ideato e porta avanti il progetto. I testi, recitati, non sono niente male, anche se ci sono stati degli errori oggettivi, di qualche nome e data, in particolare quando si è parlato di strumentazione (se proprio vogliamo essere precisi, la prima chitarra a corpo pieno è la Broadcaster del 1948 che diviene poi No Caster e in seguito Telecaster e non la Strato nata nel 1954; poi, se “vendi” uno spettacolo che racconta del “Secolo che ha cambiato la Musica”, dove si parla della storia della musica afroamericana, non puoi evitare di citare Robert Johnson, B.B. King, John Lee Hooker, Buddy Guy, solo per dirne alcuni, e ancora, se vuoi spiegare come i musicisti inglesi degli anni ‘60 siano stati influenzati dalla musica afroamericana, non puoi non parlare di John Mayall (al quale avrei fatto un doveroso omaggio, vista la sua scomparsa proprio in questi giorni) e Alexis Korner. Nel dettaglio tecnico, sicuramente, il timing non è dei migliori, la pulsazione ritmica dovrebbe essere più “nera”, più “indietro” ma, se non sei un nero, almeno “a metà”, purtroppo, sta cosa non la puoi esprimere naturalmente, a quel punto però, potresti almeno lavorarci. Il suono e i bending del chitarrista, molto approssimativi e la Iacono, seppur brava tecnicamente, risulta esprimersi con pochi colori e sfumature. Nel complesso ci accontentiamo, visti i tempi che corrono, dove la cultura naviga in cattive acque, e la non cultura impostaci, la fa da padrona, l’idea è molto bella e far conoscere attraverso un excursus storico, quello che è l’incontro tra la cultura africana con quella euroamericana, far si che gli spettatori possano percepire quel dolore, quella sofferenza che, solo cantando, spesso inneggiando al Signore, persone “strappate” dalla loro terra, divenuti schiavi, riuscivano a sopportare..